L’Italia è uno dei paesi con meno appeal in Europa per gli investitori stranieri. Si trova agli ultimi posti nella graduatoria europea come paese attrattivo agli occhi delle multinazionali o di potenziali investitori stranieri.
Al di là dei luoghi comuni, le ragioni sono molteplici: le difficoltà legate ad una burocrazia arcaica e farraginosa, la proverbiale lentezza della nostra giustizia civile, il ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali rispetto alle tempistiche medie dei paesi più virtuosi, il deficit infrastrutturale e il basso livello di sicurezza presente in alcune aree del paese.
A queste ragioni spesso si aggiungono le difficoltà legate al reperimento di informazioni.
Pensiamo, ad esempio, ad una semplice operazione di partnership commerciale dove assumere informazioni può essere di grande importanza. Quando si esamina la collaborazione con un possibile partner commerciale può essere di rilievo la storia delle sue vicissitudini legali. In molti paesi occidentali gli atti giudiziari relativi ad una società sono interamente reperibili. La documentazione relativa alle vertenze legali di una società riveste spesso un ruolo importante sia nelle transazioni che in generale. In Italia tuttavia gli atti giudiziari e gli altri provvedimenti dei tribunali non sono accessibili.
Le strategie di acquisizione da parte di multinazionali, fondi stranieri, ecc. si concentrano su poche operazioni riguardanti i grandi marchi, soprattutto nel settore della moda, dei servizi, dei trasporti e delle comunicazioni. In generale le PMI italiane rimangono tagliate fuori da operazioni sul capitale perché generalmente poco attrattive.
Oltre al gap competitivo di sistema, occorre aggiungere che, soprattutto nei settori tradizionali, l’imprenditore italiano è poco disponibile a cambiamenti culturali: le aziende sono talvolta legate a un modello di specializzazione poco allineato ai trend internazionali (forte presenza di settori tradizionali, bassa contendibilità delle imprese familiari). Il “nanismo” che configura la massima parte delle imprese italiane rimane un limite anche per attrarre investitori stranieri.
Si genera così un circolo vizioso, dove la bassa attrazione degli investimenti genera un minore afflusso di risorse finanziarie per lo sviluppo. Ne consegue una minore creazione di nuovi posti di lavoro, minori investimenti tecnologici e di conseguenza un deficit di competenza.
In verità è da rilevare la presenza di un Italia “a due velocità”, laddove il vantaggio competitivo di un forte brand e la qualità del prodotto consentono alle imprese di superare le difficoltà legate al “sistema paese” e di competere all’interno di un mercato globalizzato. Le imprese dei settori più tradizionali subiscono invece le conseguenze derivanti dal fatto di operare in un mercato globale, soggetto alla concorrenza e talvolta alla vera e propria “aggressione” di aziende provenienti da paesi emergenti .